Partito della Rifondazione Comunista - Sovicille Sovicille 31 Agosto 2011
Al Presidente della Camera di Commercio di Siena
E p.c. alla Procura della Repubblica – Alla Prefettura
Oggetto: richiesta di blocco di spandimento di pollina da allevamento intensivo di galline ovaiole proveniente da Brescia all’interno dell’area Demaniale in cui ricade il sedime aeroportuale di Ampugnano – Sovicille – (SI).
Signori, il 16 Marzo del 2010, l'allora Amministratore Delegato della Società Aeroporto
di Siena SPA, D.ssa Corinne Namblard, stipulò un contratto con la Società Agricola A.P.A., Impresa Appaltatrice, con sede in Desenzano del Garda (Brescia), nella persona del Sig. Papa Andrea; contratto che prevedeva l'aggiudicazione dei servizi di gestione, manutenzione agricola e bonifica delle aree a verde. A fronte dell’esecuzione dei servizi, l’Impresa godeva del diritto di raccogliere e fare propri i frutti, i foraggi e i prodotti derivanti dallo sfruttamento agricolo del sedime demaniale dell'Aeroporto di Ampugnano.
Il 14 Giugno 2010 nel Comune di Sovicille arrivò una richiesta di autorizzazione
all'utilizzazione agronomica di effluenti di allevamento (pollina palabile) proveniente dall'allevamento di galline ovaiole, da parte della Azienda Benedetti Ivan e Mauro, con sede legale in Comune di Travagliato (Brescia) e ubicazione dell'allevamento in comune di Corzano (Brescia) Cascina Bissi.
Nella richiesta si specificava che lo spandimento sarebbe avvenuto sui terreni identificati
catastalmente nella convenzione sottoscritta unitamente al Sig. Papa Andrea, cioè ad Ampugnano sui 133 ettari liberi dalle infrastrutture aeroportuali, per una quantità pari 20 tonnellate e mezzo.
L’8 giugno del 2011 il comune di Sovicille, sentito l’ARPAT, ha autorizzato con
determinazione n.233, lo spandimento di 12,8 tonnellate di pollina, su una porzione di 80 ettari (che ad oggi non è avvenuto).
L’azienda Papa Andrea l'11 agosto 2011 ha di nuovo chiesto di poter utilizzare
l’intera area cambiando questa volta il tipo di semina; la quantità da spandere, compresa la precedente autorizzazione ammonta a 1500 tonnellate tra pollina e escrementi bovini, (a cui il Comune dovrà dare risposta).
Poiché nell’autorizzazione vengono indicate le prescrizioni, ci chiediamo come sarà possibile che queste vengano monitorate o che l’azienda possa attenervisi considerando che nell’area, le acque superficiali sono quasi affioranti e che il dilavamento è scontato in quanto l’area è alluvionabile; per quanto riguarda la salute pubblica, non sono poche le pubblicazioni che mettono in relazione l’epidemia di aviaria con lo stoccaggio e spandimento di escrementi di pollame. Senza contare che negli allevamenti intensivi vengono usati antibiotici, ormoni o altri medicinali che attraverso le feci finiscono nei terreni inquinandoli ed entrando poi nella catena alimentare.
Riporto alcune delle prescrizioni………….
●dovranno essere garantite da ogni possibile tipo di inquinamento le acque superficiali e sotterranee, nonché il suolo e la vegetazione da ogni degrado ambientale;
●l’utilizzazione agronomica degli affluenti da allevamento non dovrà produrre inconvenienti ambientali come rischi alla diffusione di aerosol, né compromettere l’interesse paesaggistico e naturale del territorio.
Siamo consapevoli che gli allevamenti intensivi in Pianura Padana stanno costituendo un serio problema, tanto che gli allevatori sono costretti a inviare sempre più lontano i reflui, pena la chiusura stessa degli allevamenti. Anche i vari esperimenti di incenerimento sono risultati deleteri per l’aria e per una insopportabilità da parte delle comunità dove essi vengono proposti, considerato che la pollina è un materiale particolarmente insidioso, tanto che molte Province della Lombardia hanno le falde inquinate. A questo punto ci domandiamo se questa ditta con sede a Brescia abbia avuto come scopo la coltivazione dell’area di Ampugnano oppure se il suo interesse non fosse dovuto proprio alla possibilità di spandimento dei reflui. Poiché i Sindaci sono responsabili della condizione di salute della popolazione e del suo territorio, riteniamo che debbano applicare il principio di precauzione per prevenire ogni possibile rischio ambientale e della salute umana, considerata l’importanza per la nostra Provincia della Falda del Luco che fornisce acqua potabile a Siena e ai comuni limitrofi,
CHIEDIAMO PERTANTO CHE VENGA IMPEDITO LO SPANDIMENTO DEI REFLUI NEL SEDIME AEROPORTUALE O ALTRIMENTI, CHE VENGA REVOCATA LA CONVENZIONE ALLA DITTA APPALTATRICE DEI TERRENI.
Angela Bindi Capogruppo PRC al Comune di Sovicille
Allego documento Dott.Paolo Tucci (Dipartimento Scienze Biomediche)
Inquinamento: Utilizzo dei Farmaci in Veterinaria e Rischio Ecotossicologico
webmaster Scrive: Paolo Tucci Dipartimento di Scienze Biomediche - Facoltà di Medicina - Università degli Studi di Foggia Gli organismi internazionali prevedono da qualche anno prove d’impatto ecotossicologico per i farmaci veterinari. La necessità di queste prove scaturisce dai risultati di diversi studi che hanno rilevato concentrazioni importanti di farmaci (umani e veterinari) nelle acque di diversa origine e persino nell’acqua potabile. Tuttavia si sospetta che il rischio emerso sia sottostimato dal momento che nella maggior parte dei casi non si sono considerati i metaboliti dei farmaci. I farmaci veterinari, utilizzati per diversi scopi negli allevamenti, ma soprattutto i loro meta boliti, si ritrovano nelle deiezioni che a loro volta vengono disperse sul terreno senza passare da sistemi di filtrazione. Dal terreno farmaci e mertaboliti passano nelle acque. Un caso particolare è rappresentato dall’acquacoltura in cui il farmaco viene riversato direttamente nell’acqua ponendo grossi problemi per tutto l’ecosistema. Per valutare il pericolo ambientale associato ad un farmaco occorre considerare numerosi fattori biologici ed ecologici. L’impressione che si ricava dall’analisi dei dati raccolti è quella di essere ancora ai primi stadi di una ricerca tossicologica comunque difficile e complessa. I farmaci in veterinaria sono utilizzati, come nel campo umano, per motivi terapeutici ma anche per migliorare alcune caratteristiche dell’animale. Bisogna distinguere due casi: i farmaci destinati agli animali da compagnia e quelli destinati agli animali da reddito. Tra quest’ultimi bisogna distinguere tra animali destinati all’uso alimentare e quelli non destinati a tale uso. La somministrazione di farmaci ad animali che saranno destinati ad alimentare l’uomo è praticata per tre scopi principali: scopo profilattico, scopo terapeutico e scopo auxinico. La profilassi farmacologica è essenziale negli allevamenti intensivi in quanto si deve prevenire l’insorgere di malattie microbiche e fungine capaci di decimare la popolazione. L’utilizzo del farmaco per favorire la crescita dell’animale nasce negli anni cinquanta, quando si cominciarono ad utilizzare le tetracicline. I dati sperimentali disponibili, indicano che il loro pronunciato effetto promuovente la crescita sia legato strettamente alla loro attività antibatterica. Tra i possibili meccanismi d’azione sono suggeriti l’inibizione della flora batterica intestinale che compete con l’ospite per il materiale nutritizio, l’inibizione dei batteri che producono tossine ritardanti la crescita, l’inibizione dei batteri che causano disturbi subclinici o la stimolazione indiretta, per inibizione della flora competitiva, di batteri che sintetizzano vitamine o altri fattori nutrizionali essenziali (Bowman, 1980). A scopo auxinico sono utilizzati anche gli steroidi anabolizzanti, alcuni agonisti beta-adrenergici o i cortisonici. I farmaci sono somministrati nella maggior parte dei casi per via orale ed in particolar modo attraverso la miscelazionecon il mangime. In questo caso bisogna distinguere due tipi d’alimenti: gli alimenti medicati e gli alimenti integrati. Gli alimenti medicati contengono un’alta quantità di farmaco e sono utilizzati per brevi periodi; gli alimenti integrati contengono una bassa concentrazione di farmaco e sono utilizzati per lunghi periodi di tempo. I farmaci si somministrano ad animali stabulati (zootecnia), ad animali al pascolo, ai pesci nell’acquacoltura. In acquacoltura fino all’ 80% del mangime miscelato nell’acqua non è assunto dai pesci e viene direttamente disperso nell’ambiente (Halling-Sørensen et al., 1998). Quando il farmaco penetra nell’organismo animale, subisce diversi destini. Viene metabolizzato dal fegato in due fasi: fase uno e fase due. Nella fase uno, il farmaco subisce reazioni d’ossidazioni e riduzioni acquisendo in genere caratteristiche più idrofile. Nella fase due subisce una coniugazione con molecole che conferiscono al farmaco un’ulteriore idrofilia. L’aumento dell’idrofilia serve per permettere una più facile eliminazione del farmaco. L’eliminazione avviene attraverso le urine, le feci e in minor misura attraverso il latte o altre vie. Nel caso degli animali stabulati o al pascolo, il farmaco (come tale o i suoi metaboliti) viene liberato nell’ambiente attraverso le deiezioni.
Le deiezioni degli animali al pascolo possono portare sul terreno alte concentrazioni di farmaco e in uno spazio relativamente ristretto. Le deiezioni degli animali stabulati, utilizzate come concime, al contrario, prima di essere impiegate vengono mantenute a riposo per un certo periodo di tempo e quindi distribuite omogeneamente su vaste superfici. Il periodo di riposo può permettere un abbassamento delle concentrazioni del farmaco e l’ampia distribuzione permette una diluizione del farmaco sul terreno. Le deiezioni possono avere diverse origini. Quelle provenienti dai polli (pollina) sono molto utilizzate perché contengono un’alta percentuale protidica. Gli allevamenti di queste specie (come di altre specie aviarie) richiedono un elevato uso d’antibatterici (a scopo auxinico e profilattico) e coccidiostatici. Infatti le specie utilizzate a scopo alimentare sono meno resistenti alle patologie e il loro maggior periodo di suscettibilità coincide con il massimo accrescimento. Il pericolo di perdere l’animale all’apice del suo valore economico (cioè al massimo dell’accrescimento), spinge l’allevatore a somministrare farmaci per prevenire questo danno. Nel 1991 il Dipartimento dell’Agricoltura USA ha registrato un 2% di carcasse d’avicoli distrutte (Tanner, 1996). Occorre rilevare che i polli, pur essendo suscettibili a diverse patologie, sviluppano le forme cliniche in seguito ad eventi stressanti; da questo consegue che il miglioramento del benessere animale nell’allevamento ridurrebbe la necessità dell’uso dei farmaci. L’uso dei coccidiostatici inoltre deriva dalla necessità di far crescere un pollo da carne in poche settimane; normalmente il pollo assume un’immunità nei confronti della coccidiosi ma occorrono tempi più lunghi di crescita. La somministrazione del farmaco nel pollo è fatta soprattutto con l’acqua da bere in quanto spesso questi animali sono anoressici e non mangiano il cibo medicato. Quando si utilizza l’acqua da bere come veicolo di somministrazione dei farmaci, occorre considerare alcuni fattori: l’acqua può contenere cloro (sempre presente nella rete idrica) che inattiva ad esempio i fluorochinoni, può contenere impurezze come calcio e magnesio che possono ad esempio formare chelati con le tetracicline (diminuendone la biodisponibilità e aumentandone l’escrezione come molecole immodificate), la quantità assunta può aumentare fino al sovradosaggio se la temperatura esterna sale. Inoltre il contenitore può interagire con il farmaco; la clortetraciclina ad esempio s’inattiva a contatto con pareti metalliche. Tutto questo deve essere tenuto presente quando si vuole valutare l’impatto ambientale dei farmaci (o suoi metaboliti) eliminati con le deiezioni. Anche nel maiale la via di somministrazione dei farmaci più comune è rappresentata dall’acqua. È ovvio che questa via è praticabile solo per farmaci idrosolubili. Le deiezioni, che in base ai trattamenti descritti precedentemente possono contenere notevoli quantità di residui (in uno studio sono state ritrovate clortetracicline in terreni trattati con letame di pollo), subiscono un processo detto “compostaggio”; con questo termine s’indica la decomposizione e la stabilizzazione della massa ad opera dei microorganismi già presenti nella massa stessa. Si descrivono tre fasi, biossidazione, maturazione e umificazione che devono avvenire preferenzialmente a pH compreso tra 5,5 e 8 e temperature intorno ai 60 °C. Queste fasi sono molto importanti per gli eventuali farmaci o metaboliti. Infatti per valutare l’impatto inquinante degli xenobiotici (e quindi anche dei farmaci) occorre studiare “la resistenza alla degradazione” e “il tempo di permanenza del farmaco”. Mentre la resistenza alla degradazione indica il tempo necessario affinchè una sostanza si degradi, la persistenza indica il tempo che la sostanza trascorre in un certo ambiente prima di essere eliminata (non importa come viene eliminata e dove va a finire). Per i farmaci veterinari, i due parametri sono ugualmente importanti. Infatti una forte resistenza alla degradazione indica che la sostanza rimarrà come tale nel compartimento ambientale per molto tempo; una lunga persistenza del farmaco indica che quel farmaco potrà agire per molto tempo in un determinato ambiente. Un antibiotico persistente impedirà la crescita di certi microorganismi per un lungo tempo e quindi inibirà anche la loro eventuale attività di biodegradazione. La biodegradazione può essere metabolica, aerobica o anaerobica e quindi si possono avere diversi scenari. Una biodegradazione aerobica determina l’aggiunta di gruppi ossidrili, una
biodegradazione anaerobica determina una serie di reazioni riduttive. La resistenza alla degradazione può dipendere da fattori intrinseci alla molecola. Alcune strutture chimiche sono più resistenti alla degradazione (struttura aromatica, struttura aromatica con alogeni, doppi legame NN, gruppi alchilici polialogenati, atomi N-eteroatomici in strutture aromatiche, carboni quaternari) di altre (catena di carboni lunghi, presenza di gruppi polari, gruppi amidici, gruppi esterei, legami insaturi alifatici). Inoltre devono considerarsi i fattori estrinseci fisici (calore, umidità), chimici (nutrienti, pH, specie reattive), biologici (microflora, biodisponibilità). Le solfoniluree ad esempio si degradano rapidamente a pH acido. L’antibiotico ceftiofur, si biodegrada in condizioni aerobiche nel suolo con un tempo di semivita di 22,2 giorni a pH 5, di 49 giorni a pH 7, di 41,1 giorni a pH 9. La sua idrolisi in acqua ha tempi di semivita di 100,3 giorni a pH 5, 8 giorni a pH 7, 4,2 giorni a pH 9 (Gilbertson et al., 1990). In certi casi è importante anche la fotodegradazione, sebbene questa reazione avvenga soprattutto per sostanze disperse nell’aria. Le tetracicline vengono fotodegradate in 4-epitetraciclina, anidrotetraciclina e in 4-epianidrotetraciclina. La clortetraciclina e l’olaquindox (derivato chinossalinico come il carbadox e il ciadox, utilizzato nel suino) presentano un comportamento simile (Oka et al., 1989; Eberlein et al., 1992). Il farmaco in alcuni casi subisce una parziale degradazione con mantenimento dell’attività biologica e in altri casi rimane inalterato. Si può verificare anche la riconversione del metabolita inattivo nel composto di partenza. I metaboliti del cloramfenicolo coniugati con l’acido glucuronico e la sulfadimidina N-4-acetilata, in campioni di letame liquido vengono convertiti nei composti di partenza cloramfenicolo e sulfadimidina (Berger et al., 1986). Considerando tutti i fattori intrinseci ed estrinseci, nel passato si è teorizzato che i livelli dei farmaci espulsi dall’organismo animale attraverso le deiezioni fossero bassi. Tuttavia sono stati condotti studi sui residui ambientali dei farmaci utilizzati dall’uomo che hanno rilevato alcuni pericoli potenziali e reali. I residui dei farmaci utilizzati dall’uomo in genere derivano dallo smaltimento delle scorte eccedenti o dall’eliminazione attraverso urine e feci. Il destino di entrambi è costituito dal sistema fognario. Nel sistema fognario subiscono un trattamento che in alcuni casi si è rivelato insufficiente e una certa quota di farmaci potrà disperdersi nel terreno (colpendo organismi terrestri) e da qui passare alle acque del sottosuolo oppure essere dilavato verso acque superficiali e colpire gli organismi acquatici. Giacché l’ambiente finale a subire l’inquinamento è rappresentato dall’acqua, è importante mettere a punto dei metodi analitici sofisticati per mettere in risalto farmaci e metaboliti, presenti in concentrazioni solitamente dell’ordine di ng/l; alcuni laboratori hanno messo a punto alcuni metodi per determinare gli antibiotici e gli estrogeni nell’acqua da bere e di fogna. Un gruppo di studio (Ternes et al., 1998a, b) ha messo a punto diversi metodi per evidenziare beta bloccanti e beta agonisti o farmaci neutri come diazepam o carbamazepina, farmaci acidi con un gruppo carbossilico e (eventualmente) uno o due gruppi idrossilici e antibiotici. L’analisi d’acque di fogna trattate, ha evidenziato, in Germania, fino a 6,3 microg/l di carbamazepina (farmaco antiepilettico), fino a 15 microg/l di iopamidolo e fino a 11 microg/l di iopromide (due farmaci diagnostici). Un altro gruppo di ricerca (Stumpf et al., 1999), ha studiato l’acido clofibrico (utilizzato nelle dislipidemie) e alcuni dei suoi principali metaboliti; si sono ritrovati livelli nell’ordine dei microg/l in acque di scolo negli USA. Una concentrazione di 0,01 microg/l di acido clofibrico è stata ritrovata in Gran Bretagna (River Lee), concentrazioni fino a 0,27 microg/l sono state ritrovate nell’acqua da bere in Germania (acquedotto di Berlino) (Richardson e Bowdon, 1985). Uno studio è stato condotto in Brasile (Rio de Janeiro) su acque di fogna (trattate e non) e su acque naturali. Il Brasile è uno dei più grossi consumatori di farmaci (la maggior parte dei quali non soggetti a prescrizione medica) insieme a USA, Francia e Germania. I metodi analitici utilizzati avevano dei limiti di detenzione di 50-250 ng/l per l’acqua di fogna, 10-25 ng/l per le acque di superficie e 1-25 ng/l per le acque da bere. In acqua di fogna trattate sono stati ritrovati farmaci in concentrazioni comprese tra 0,1 e 1 microg/l; le conseguenze sono rappresentate dall'inquinamento delle acque dei fiumi con concentrazioni di farmaci fino a 0,5 microg/l (come per il diclofenac, un antiinfiammatorio non steroideo) (Stumpf et al., 1999). Questi risultati evidenziano una situazione di potenziale pericolo legato al ritrovamento di farmaci e
metaboliti nelle acque potabili nonostante i servizi di depurazione e trattamento delle acque. Considerando che i farmaci veterinari vengono escreti direttamente nel terreno senza subire un passaggio in sistemi di depurazione e, inoltre, che vengono riversati come tali direttamente nell’acqua come nel caso dell’acquacoltura, si comprende l’attenzione destata dal problema a livello internazionale. Un problema particolare è costituito dagli antibiotici. In Inghilterra, tra il 1963 ed il 1967, la quantità di antibiotici somministrata agli animali è stata pari al 30-40% del consumo totale dell’intera nazione (Bowman, 1980). In Danimarca (5,2 milioni di abitanti), nazione che ha i dati più completi, vengono utilizzate 200 tonnellate di antibatterici all’anno di cui 165 tonnellate come additivo e a scopo terapeutico nel bestiame; di quest’ultimi 100 tonnellate anno sono utilizzate come promotori della crescita nei maiali, 45 tonnellate anno per terapia veterinaria, 13 tonnellate anno come coccidiostatici nei polli, 10 tonnellate anno in acquacoltura (Wollenberger et al., 2000; Halling-Sørensen et al., 1998). Per valutare il potenziale impatto sull’ecosistema si consideri che nella stessa Danimarca si consumano in agricoltura 185 tonnellate all’anno di insetticidi. Nella UE vengono utilizzati circa 5000 tonnellate di antibiotici per anno di cui 2300 sono tetracicline (Ariese et al., 2001). L’utilizzo degli antibiotici negli animali comporta la comparsa di ceppi di microorganismi resistenti. La possibilità di trasferire questi ceppi resistenti all’uomo dipende dalla specie batterica interessata. Alcuni esperimenti condotti su volontari umani, hanno dimostrato ad esempio che E. coli farmaco-resistente proveniente da diverse specie animali (polli, bovini, maiali), una volta introdotto nell’intestino umano non solo non è in grado di trasmettere la resistenza ad altri microorganismi ma non riesce neanche ad insediarsi. Altri microorganismi si comportano diversamente. Infatti ceppi di Salmonella typhimurium hanno prodotto nell’uomo un’infezione resistente al furazolidone e ad altri farmaci antibatterici. Il furazolidone non viene utilizzato nell’uomo ma serve per la profilassi della diarrea infettiva negli allevamenti. Le tetracicline furono per la prima volta usate come additivi al cibo del pollame nel 1957; furono in seguito usate in maniera crescente fino al 1961; un anno dopo la maggior parte dei produttori di cibo per animali sospese il loro uso. La proporzione di batteri patogeni tetraciclino-resistenti isolati nel 1957 era il 3,5%. Nel 1960 la percentuale era salita al 63,2% ma nel 1962 era di nuovo diminuita, e raggiungeva il 17,1% nel 1966. Il rapporto tra la comparsa di ceppi resistenti e l’uso delle tetracicline come additivo nel cibo è ovvio (Bowman, 1980). Gli antibiotici, eliminati attraverso le feci, possono indurre resistenze anche nei microorganismi del suolo e, oltre a questo, possono distruggere ceppi batterici importanti per la biodegradazione o per contrastare la crescita di batteri patogeni. Le conseguenze di questi fatti sull’equilibrio ecotossicologico devono essere ancora valutate. La persistenza di ossitetraciclina, acido ossolinico, flumaquina, sarafloxacina, florfenicolo, sulfadiazina e trimetoprim è stata studiata nei sedimenti marini (problema da valutare quando si utilizzano farmaci in acquacoltura). Sono stati calcolati tempi di dimezzamento intorno ai 300 giorni per ossitetraciclina, acido ossolinico, flumequina, sarafloxacina (Hekoten et al., 1995). Oltre a valutare l’impatto sui batteri, è importante valutare l’impatto sugli organismi acquatici, sulla fauna del suolo (come lombrichi, collemboli (artropodi del terreno), vermi del genere Enchytraeus (verme bianco presente nei boschi tra le foglie in macerazione) e sulle piante. L’ossitetraciclina e la tilosina sono state testate su lombrichi, collemboli, Enchytraeus. Alcuni effetti si sono visti solo a dosi molto alte e comprese tra 3000 mg/Kg e 5000 mg/Kg (Baguer et al., 2000). L’altra categoria di sostanze che induce timori è rappresentata dagli ormoni steroidei. I fattori che li rendono temibili sono costituiti dalla struttura poco degradabile e dall’enorme potenza per cui possono agire a concentrazioni molto basse. In letame di origine avicolo sono state trovate concentrazioni di 1 microM/g di questi ormoni (in particolare testosterone) (Shore et al., 1988). Queste molecole si ritrovano nelle deiezioni e nelle urine sia perché sono presenti normalmente negli organismi animali sia in seguito ad interventi farmacologici. I possibili danni derivanti da questi composti sono descritti in diversi lavori (per iniziare si consulti Rogers e Kavlock, 2000). Alcuni composti eliminati nell’ambiente presentano problemi inaspettati; l’ibuprofen (un
antiinfiammatorio non steroideo) ad esempio possiede una certa attività antimicrobica soprattutto nei confronti di funghi dermatofiti (Sanyal et al., 1993; Elvers e Wright, 1995). L’utilizzo di questo farmaco in veterinaria è molto scarso. Negli USA, nel 1985, la FDA richiese per i farmaci umani l’aderenza al National Environmental Policy Act (NEPA) e nel 1987 ha introdotto un suo Environmental Assessment Technical Handbook for FDA-Required Environmental Assessment. Nel 1995 ha stabilito una guida per l’industria per la valutazione dell’impatto ambientale dei farmaci. In Europa dal 1990 si distingue tra prodotti farmaceutici derivati da organismi geneticamente modificati (OGM) e non; inoltre si distingue tra farmaco veterinario e umano. Solo per i farmaci veterinari è prevista una prova per la valutazione dell’impatto ambientale. Questa prova deve essere condotta secondo le indicazioni contenute in una linea guida (EU Note for Guidance EM/CVMP/055/96-Final). Un gruppo di studio (Montforts et al., 1999) ha simulato la dispersione di alcuni farmaci utilizzati negli allevamenti in Olanda, in condizioni normalmente presenti nella zootecnia olandese. In particolare ha previsto tre scenari: escrezioni da parte di bovini al pascolo (dopo trattamento con ivermectina), concimazione di terreno arabile e a prato, dispersione nell’acqua. Ha poi confrontato i risultati con le stime previste nella Linea Guida Europea. Si è visto che c’è un fattore di differenza compreso tra 2 e 40. Inoltre nella fase 1 della Linea Guida Europea non si tiene conto del tempo di esposizione; per quanto riguarda le concentrazioni al suolo, viene considerato come modello solo il terreno arabile. In questo studio le concentrazioni nel terreno arabile sono risultate in media più basse rispetto a quelle riscontrate nei prati. Inoltre è risultato che concentrazioni sostanziali di farmaci (fino a 1 mg/l) possono essere presenti fino a 25 giorni dopo il trattamento sulla superficie dell’acqua nel caso dell’acquacoltura. A seconda del tipo di sistema di trattamento delle acque, la concentrazione calcolata in superficie varia fino a 29 volte. Da quanto esposto e da quanto risulta dalla Linea Guida Europea, si evince che il problema dei farmaci veterinari nell’ambiente si può dividere in due parti. Una parte è rappresentata dai farmaci utilizzati nell’acquacoltura che vengono riversati direttamente nell’acqua; è ovvio che tale pratica permette il rilascio di notevoli quantità di farmaco nell’ambiente. Queste acque sono sottoposte a sistemi di depurazione ma, come è stato osservato, questo spesso è insufficiente. L’altra parte del problema è rappresentato dai farmaci somministrati all’animale di terra; gli studi effettuati si riferiscono soprattutto alle molecole immodificate e a qualche metabolita principale, che nella realtà rappresentano solo una piccola frazione delle molecole presenti nelle deiezioni. Nel futuro occorrerà raccogliere notizie su tutti i metaboliti e questo richiede metodi d’analisi complessi e sofisticati. Inoltre serviranno molti studi di tossicità cronica. Per capire quanto il problema potrà essere sviluppato nel futuro, si consideri che la UE (anche se in netto ritardo rispetto agli USA) ha lanciato il progetto ERAVMIS che ha lo scopo di approfondire lo studio dell’impatto ambientale dei farmaci veterinari.
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